Chiusura di Terra Madre: discorso di Carlo Petrini

Care delegate e cari delegati,
stiamo per chiudere questo secondo straordinario incontro di Terra Madre ed è opportuno in questa sede riflettere sulle prospettive di lavoro che attendono questa straordinaria assemblea, riflettere sulle grandi scelte che dovremo fare nei prossimi anni; e allora è importante che noi ridefiniamo bene la nostra natura.

Quando due anni fa noi abbiamo coniato il termine “comunità del cibo”, eravamo coscienti che in questo termine c’era un concetto ben preciso. Il ricollocare la centralità del cibo come elemento primario della nostra vita è quasi un’ovvietà, giacché senza il cibo non esisterebbero i viventi, ma ahimè nel tempo la centralità del cibo si è spostata ed ecco che la gastronomia, l’arte culinaria hanno assunto una dimensione folcloristica dimenticando le vere radici della cultura del cibo, le radici che sono l’essenza della vita, che ci collocano dentro un circolo della vita. Abbiamo allora lavorato in maniera atipica, mettendo insieme Terra Madre e Salone del Gusto, mettendo assieme le comunità che producono con i cuochi, chiedendo alle università, a 250 università del mondo, di venire a confrontarsi con i contadini con i saperi tradizionali, e nello stesso tempo abbiamo assistito a uno straordinario palcoscenico di produzione alimentare che in dieci anni ha cambiato pelle. Dieci anni fa il 75% degli espositori del Salone erano commercianti e solo il 25% erano produttori, oggi noi raccogliamo il risultato di avere invertito le parti, il 25% sono commercianti e il 75% sono produttori. Quando da più parti si pensava che la scelta di lavorare su un’opzione etica, su un’opzione ambientalista, sulla politicità e sulla cultura di Terra Madre avrebbe in qualche modo ridotto la presenza al Salone del Gusto, noi in questi giorni abbiamo avuto l’impressione, la dimostrazione che è stato esattamente il contrario e questo cosa vuol dire? Che anche nella società civile si avverte l’esigenza di un rapporto stretto con la produzione, si avverte la necessità di confrontarsi, di sapere di più, di avere più cultura del cibo.

La chimica che ha fatto riuscire questo grande appuntamento, questa chimica particolare per cui da un lato 200 000 persone provenienti da tutto il mondo partecipavano al Salone e qui voi in 6500 delegati partecipavate costantemente ai dibattiti sui destini della terra, sul diritto all’acqua, sul diritto all’aria pulita, sul diritto alla proprietà delle sementi, ecco allora penso che questo è l’elemento più importante che dobbiamo raccogliere e che in qualche modo noi affidiamo a voi nel momento in cui tornate nelle vostre comunità. Sappiate sempre e comunque che siete produttori di cultura e che essere produttori di cultura significa avere un rapporto forte con le vostre comunità e un rapporto forte con la terra madre. Allora cercate le alleanze sui territori, come abbiamo fatto qui, quando tornerete nei vostri paesi sollecitate la scienza ufficiale a dialogare con i saperi tradizionali dei contadini, sollecitate i cuochi a mettersi in connessione con voi altri, fate in modo che la classe rurale non sia isolata, diventate protagonisti attivi perché la difesa di questo pianeta è nelle vostre mani e lo è per il semplice motivo che solo voi potete rafforzare l’economia locale rispetto all’economia di mercato e non è vero che l’economia locale è obsoleta, arcaica, l’economia locale è forte ed è di una modernità incredibile. Ne dovranno prendere atto economisti, politici: l’economia locale è molto più profonda di quello che si potrebbe pensare e se per certi versi, in un determinato momento, l’economia di mercato ha dato dei benefici, oggi con la sua logica di chiedere sempre di più alla terra sta dando disastri non solo ambientali ma anche nei nostri rapporti umani. Non cittadini ma consumatori, non produttori ma gente che è usata per produrre oggetti di consumo, non rapporto armonico con il creato ma l’atteggiamento sempre iperproduttivo per poi sprecare.

Voi rappresentate questa economia, la incarnate e questa economia, anche quando è di sussistenza, specialmente quando è di sussistenza, serve di più alla difesa contro la fame che non l’economia di mercato, e allora il cibo è tornato a essere protagonista. Il lavoro che voi fate è tornato ad avere una sua dignità, una sua straordinaria modernità, però c’è un’altra voce, comunità del cibo, e io su questo termine di comunità vorrei che voi fosse tutti coscienti di come attrezzarci per il futuro. Vedete, la comunità pratica la terra dell’incertezza mentre la società è un sistema strutturato, gerarchico, istituzionale; la comunità non è strutturata o è rudimentalmente strutturata: questa è la nostra forza. Nessuno pensi che da questa sede è nata un’associazione o un partito: niente affatto. Il dialogo, oso dire, la dialettica tra società organizzata, strutturata, rappresentata dalle istituzioni, dai partiti, dalle associazioni, dalle religioni e le comunità democratiche, arrivo a dire anarchiche, che vivono l’incertezza, il dialogo tra comunità e società è la nuova fecondità. Non venga in mente a nessuno di strutturare Terra Madre. Terra Madre è un soggetto libero per natura, e allora ecco che il nostro spazio diventa più bello, oserei dire che ci divertiamo di più perché possiamo esercitare fantasia, possiamo dare voce all’inventiva, avere coraggio, intraprendere nuove strade, pensare alla cura e all’aiuto reciproco, elemento determinante per la comunità, vivere per l’altro, tradurre i diritti in obbligo, pensare al benessere di tutti. Da noi e tra noi, a differenza che nella società strutturata, non ci sono né competitori né oggetti di uso e consumo, la nostra è una vita partecipativa e vivibile e poiché partecipativa e vivibile ha un elemento di incertezza, può darsi che un domani ci scappi di mano questa Terra Madre, e va bene così. Per il momento è andata alla grande, perché aveva un cemento fortissimo che nessuna politicità può scalfire: è il cemento dell’intelligente affettiva, questo mondo carico di intelligenza razionale finalmente ha un’assise che è affettiva, è fraterna, questo ci consente di non essere strutturati, di essere liberi, di divertirci e nello stesso tempo di creare il nostro futuro, questo ci consente di applicare quello che un grande, grandissimo intellettuale ebbe a dire, che la saggezza si ottiene attraverso «nessun potere, un po’ di sapere, un po’ di sapienza e tanto, tanto sapore. E chi più di noi può dare sapore alla terra? Sapore del cibo! La gioia del cibo! ».
Per questo motivo, cari delegati e care delegate, noi dobbiamo imparare a praticare quello che su altri fronti non è possibile, a usare terreni in cui altri non possono avventurarsi. In questi cinque giorni sono successe cose meravigliose: l’Azerbaigian che dialoga con l’Armenia, l’Iraq e il Libano con Israele e la Palestina, il mondo in questa sede, la grande patria degli agricoltori, dei pescatori, dei nomadi, non era in una situazione di conflitto. Quando c’era stata la riunione del Medio Oriente qualcuno era un po’ ingessato all’inizio, ma dopo pochi minuti Israele, Palestina, Iraq, Libano hanno capito di essere soggetti di una stessa famiglia e simbolicamente hanno bagnato il pane nel sale, grande gesto di fraternità bagnare il pane nel sale! Vedete, noi che siamo schiavi della dimensione mediatica avremmo voluto ricostruire su questo palcoscenico questa iniziativa a uso e consumo non solo vostro ma dei media del mondo, per far vedere ai governanti come i contadini sono armonicamente in pace. Questo non è possibile perché se un libanese o un israeliano fanno questo davanti alle telecamere e ai giornalisti di tutto il mondo, quando rientrano nei loro areoporti non hanno un’accoglienza molto felice. Io spero fortemente che la prossima edizione di Terra Madre ci sia consentito anche di fare i gesti simbolici, perché se ci levano i gesti ci levano l’anima. Maledetto chi vuole levare il gesto! Il gesto è il perno della società rurale, con il gesto la società rurale ha vissuto per millenni, se levano i gesti non ha più senso. Non sono le parole, sono i gesti, siete stati chiamati in assemblea dal corno dei contadini delle Ande peruviane, quello era un gesto, i vostri costumi non li portate per fare del folclore, li portate perché è identità, quello è un gesto. Che Terra Madre nel 2008 possa darci la libertà del gesto! Grazie a tutti!

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